Gli intrecci tra politica e clan Polverino

Pochi giorni fa il Ministro dell’Interno Cancellieri ha fissato in domenica 26 e lunedì 27 maggio le date per le elezioni amministrative. Alle urne saranno chiamati migliaia italiani residenti in diversi comuni. Tra questi è stato inserito anche Quarto Flegreo, ma non è stato tenuto conto del parere del Prefetto che, in questi giorni, sta analizzando la lunga e corposa relazione stilata dalla commissione d’accesso dopo l’accurata analisi dell’attività amministrativa degli ultimi anni. Ovviamente non ne conosciamo i contenuti, ma, in questi mesi, sui giornali sono apparsi tanti stralci di verbali di interrogatorio e non solo che forniscono un quadro abbastanza dettagliato. Sfruttando il tanto materiale archiviato sul Forum del Quartomondo (i cui utenti hanno scovato e conservato ottimamente tutto), riprendiamo i passaggi più interessanti. Il percorso non può non iniziare con quanto scritto dal giornalista Dario Del Porto su “La Repubblica” del 25 marzo 2012. “Si può dire, con una semplificazione efficace, che il Comune di Quarto, dal punto di vista amministrativo, lo gestiva il clan Polverino attraverso la mia persona”, sostiene il collaboratore di giustizia Roberto Perrone, ex esponente di primissimo piano della cosca camorristica guidata dal boss Giuseppe Polverino. In oltre 300 pagine di verbali depositate agli atti dell’udienza preliminare iniziata giovedì scorso, il pentito ricostruisce la trama intrecciata con la politica dall’imprenditore Nicola Imbriani, catturato dai carabinieri a Brugine (provincia di Padova). Imbriani, sostiene il pentito, “era il nostro vero “sindaco”, avendo avuto egli dal clan carta bianca per tutte le vicende politiche e i rapporti da stabilire con le amministrazioni”. Ai pm Ardituro e Del Gaudio, nell’interrogatorio del 13 luglio 2011, Perrone racconta di aver appreso da Imbriani “che Armando Chiaro aveva avuto contatti direttamente con il presidente della Provincia Cesaro per consentire l’apertura di una discarica in una delle cave di via Spinelli e anzi lo aveva condotto direttamente sul posto per un sopralluogo. Imbriani aveva ricevuto questa informazione direttamente da Cesaro in occasione di un incontro avvenuto tra loro in una domenica di aprile presso il complesso termale (naturalmente estraneo all’indagine n. d. r.) denominato le Stufe di Nerone di Pozzuoli”. I rapporti tra Perrone e Chiaro sono confermati da alcuni messaggi (riportati dal Roma del 4 maggio 2011) in cui il primo “dispensa consigli e avvertimenti derivanti dalla notorietà del politico quartese e dalle frequentazioni da evitare – evidentemente poco raccomandabili – intrattenute dall’interessato: «Ora ti dico solo di stare attento e di non scordare che la tua posizione è sotto ai riflettori e certe amicizie pubbliche ti possono essere negative”. Nella stessa edizione il quotidiano partenopeo, pubblica, anche le rivelazioni del collaboratore di giustizia Domenico Verde. “Ho visto la persona effigiata nella foto una volta in Spagna a casa di Giuseppe Polverino, sita in Coma Ruga in provincia di Barcellona. Il motivo per cui le persone effigiate nelle foto n. 6 e 14 vennero a casa di Giuseppe Polverino era che essi dovevano discutere di un affare concernente la gestione dei rifiuti in una discarica sita in Quarto. Ricordo che l’affare non fu portato a termine in quanto si trattava di un sito già sottoposto a sequestro. Essi vennero a parlare con Giuseppe Polverino per chiedergli il permesso di svolgere l’attività presso la discarica in quanto è proprio Polverino Giuseppe a comandare su tutte le attività che possono essere svolte a Quarto. Fu proprio Polverino Giuseppe a dissuaderli e a spiegargli che la discarica era già sequestrata. Mi sembra che la persona effigiata alla foto numero 6 (Armando Chiaro, ndr) sia intestatario proprio della villa in cui vive Polverino in Coma Ruga; ricordo ciò perché egli venne a concludere il contratto di acquisto in Spagna”. Un ruolo tutt’altro che secondario nell’organizzazione di Quarto sarebbe stato rivestito da Salvatore Camerlingo, 26enne detto “Tuturiello”, “Peppe ’e Tore” o “il piccolino”. Secondo l’accusa era “il fiduciario per antonomasia del cugino Salvatore Liccardi “Pataniello”, per conto del quale assolveva le più svariate mansioni: ad esempio convocazione degli imprenditori quartesi estorti e disbrigo di incombenze relative assistenza delle famiglie dei detenuti”. “In un altro verbale Perrone sostiene che, in occasione delle elezioni amministrative del 2003, Imbriani “aveva originariamente incassato” per la sua lista da lui ispirata “l’appoggio politico” di Cesaro, poi venuto meno “soprattutto per l’indisponibilità del centrodestra ad appoggiare” il candidato sindaco Gennaro Prencipe. Secondo il pentito questo “sgarbo politico” sarebbe stato rinfacciato dall’imprenditore in un incontro che Perrone colloca poco prima della sua scarcerazione del 2008: “Cesaro – si legge – sostanzialmente chiedeva un appoggio elettorale per le imminenti elezioni provinciali per le quali si sarebbe candidato (che in realtà si svolsero nel 2009 n. d. r.) e fu per questo che Imbriani reagì ricordandogli, ora che lui chiedeva appoggio elettorale, quello che non aveva fornito nelle precedenti elezioni del 2003 a Quarto”. Perrone era membro di un trio comprendente, oltre ad Imbriani, Castrese Paragliola. Ecco la ricostruzione del giornalista Napolitano sul suo blog ( http://alessandronapolitano.blogspot.com/2012/03/il-pentito-perrone-e-le-sue-verita-ce.html?spref=bl). “Secondo gli atti dell’inchiesta dell’Antimafia denominata “Polvere”, risultano “un’unica entità, espressione della volontà imprenditoriale e delle mire espansionistiche del clan Polverino, che in tal modo ricicla agevolmente decine di milioni di euro accumulati grazie agli illeciti traffici”. Secondo quanto scrivono gli inquirenti “si arguiva che l’intero affare del Centro Commerciale non poteva restare indifferente alle consorterie camorristiche operanti su quel territorio, in particolare il clan Polverino che, dalla concretizzazione dell’opera avrebbe ricavato ingenti fortune”. Tra queste fortune anche quella della società, la Elleffe, che in 15 soli giorni moltiplicò per sette i suoi guadagni, con l’acquisto del terreno su cui sarebbe stato costruito il centro commerciale a 1.342.773,50 euro per poi rivenderlo a 10.875.000. Come sottolineano i magistrati dell’Antimafia, poi, l’allora amministrazione comunale “poco dopo l’acquisto dei terreni da parte della Elleffe, stabiliva il cambio di destinazione dell’area (PIP) nella quale era ricompreso proprio il terreno in questione, che si trasformava, quindi, in area a uso commerciale”.

IL PROCESSO. Il 22 dicembre 2012, il boss è stato condannato a 20 anni di reclusione al termine del processo che si è celebrato con rito abbreviato davanti al giudice Paolo Russo. Erano stati necessari, invece, 5 anni di indagini per arrestarlo. Da “Il Giornale di Napoli” dell’11 settembre 2012. “Madrid, Alicante, Barcellona, Marbella, Malaga, Estepona, Rio de Janeiro, il Marocco, l’Olanda e poi il Portogallo, Lisbona. Queste le città in cui s’era rifugiato durante la latitanza. Il nucleo investigativo dei carabinieri di Napoli ha ricostruito gli spostamenti del superlatitante che cercava l’estradizione, voleva uno scudo giuridico per sfuggire ai pm antimafia Antonello Ardituro e Marco Del Gaudio. Il capoclan disponeva di decine e decine di covi in mezza Europa, per lo più in Spagna, dove si era nascosto a lungo tra la costa Blanca, in particolare ad Alicante, la costa del Sol, dove gestiva anche numerosi affari e il “paradiso” andaluso con Marbella, Malaga e Estepona, fin dentro alle alture della Sierra Bermeja. Ad aiutare i militari dell’Arma la collaborazione proficua instaurata da tempo con l’Uco della Guardia civil spagnola. «Polverino si era nascosto a lungo in Spagna – precisava il Procuratore Alessandro Pennasilico – perché la penisola iberica era una sorta di tappa obbligata per trasportare la droga, grazie ai collegamenti con l’Africa. Poi, era aiutato dalla lingua, simile all’italiano e soprattutto poteva seguire da vicino gli affari che gestiva nella Costa del Sol, la costruzione di case e palazzi con l’aiuto di un imprenditore giunto per l’occasione da Pianura”.
Sempre dalla stessa testata, ma del 29 aprile 2012, rileviamo gli interessi del Clan Polverino. “Non aveva soltanto il monopolio sull’hashish, Giuseppe Polverino, “’o barone”, secondo carabinieri e Procura aveva anche il monopolio sulla panificazione in tutta Napoli e provincia. Come in un regime militare hanno il controllo dei beni di prima necessità. Farina, pane, pollame e bovini, uova e caffè. Ma anche la gestione di imprese edilizie e negozi di abbigliamento, interi centri benessere e turistici. La cosca è egemone in numerosi comuni, come Marano, Villaricca, Quarto, Qualiano e Pozzuoli, ma le mire espansionistiche avevano portato i Polverino prima in altri quartieri, come ai Camaldoli e al Vomero, poi in altre regioni come Toscana, Puglia, Sicilia e Calabria. Infine, all’estero”. Arrestati nel maggio 2011, alla vigilia delle elezioni amministrative, Armando Chiaro e Salvatore Camerlengo sono stati condannati, rispettivamente, a 7 anni e mezzo di carcere il primo (imputato di associazione camorristica per presunte collusioni con il clan) e 8 anni l’altro. Il primo fu anche eletto come testimonia “Il Fatto Quotidiano” del 17 maggio 2011. “Protagonista dell’incredibile vicenda Armando Chiaro, fino a pochi giorni fa coordinatore cittadino del Pdl. Chiaro è stato eletto con quasi 400 preferenze. Eppure è in galera da circa due settimane con l’accusa pesantissima di essere il referente ‘politico’ degli interessi del clan Polverino e di aver fatto da prestanome dei boss. Il suo arresto è stato uno dei casi più clamorosi di infiltrazioni camorristiche nelle liste azzurre del napoletano”. Nel giugno seguente, il Prefetto ha dichiarato la sospensione di diritto dalla carica di consigliere del comune di Quarto del sig Chiaro Armando. Il provvedimento del 27 giugno u.s discende dall’applicazione a carico del predetto della misura coercitiva, tuttora in vigore, della custodia cautelare in carcere. Il decreto, adottato dal prefetto ai sensi dell’art 59 del D. lgv 267/2000, è stato notificato ai componenti del consiglio comunale di Quarto per i provvedimenti conseguenti di presa d’atto della sospensione e surroga temporanea del consigliere. Ma chi è Roberto Perrone. Lo spiega “Il Giornale di Napoli” in un articolo del 22 settembre 2010. “Il pregiudicato Roberto Perrone, quartese di 46 anni, è ritenuto il capoclan quartese dei Polverino di Marano. Il presunto boss della camorra locale è finito in manette con l’accusa di non aver ottemperato agli obblighi imposti dalla sorveglianza speciale di pubblica sicurezza. Alcuni mesi prima era stato vittima di un’altra operazione compiuta dalle forze dell’ordine. Quella volta fu di natura patrimoniale. Gli agenti fecero infatti irruzione nella sua residenza e sequestrarono una serie di attrezzature multimediali e di controllo per la videosorveglianza. Perrone è collegato al clan camorristico dei Polverino, molto attivo nella zona di Marano nell’ambito delle attività di estorsione ai danni degli imprenditori edili e dei commercianti”.

 

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