Le piogge insistenti delle scorse settimane ed i danni arrecati in Sardegna ed in Calabria hanno posto nuovamente alla ribalta il tema del dissesto idrogeologico che, come definito all’art. 54 del D.Lgs 152/06 è “la condizione che caratterizza aree ove processi naturali o antropici, relativi alla dinamica dei corpi idrici, del suolo e dei versanti, determinano condizioni di rischio sul territorio”. Può essere definito come un naturale processo evolutivo della morfologia del territorio che può essere favorito da errati comportamenti dell’uomo. Un fenomeno che interessa anche Quarto che insiste su una depressione vulcanico–tettonica generata dagli eventi vulcanici che hanno interessato i Campi Flegrei negli ultimi 40mila anni. “Si tratta di una piana alluvionale che, nei secoli passati, era soggetta ad impaludamento – spiega la geologa, dottoressa Anna Maria Perillo – La zona del piano è costituita dai terreni dilavati dalle colline circostanti ad opera delle acque ruscellanti che se non regimate possono operare una erosione diffusa ed intensa dei suoli. Solo nel 1800, con la bonifica di Licola, estesa anche a questa zona, furono realizzati una serie di interventi di sistemazione idraulico–forestale che portarono alla bonifica del territorio”. Fu creata una rete scolante sulle aree collinari con canali secondari che dovevano raccogliere le acque dilavanti per convogliarle in apposite vasche di laminazione ove il liquido poteva laminare, ossia perdere gran parte dell’energia di ruscellamento e permettere il deposito del materiale in sospensione. Le acque di laminazione dovevano confluire, ed in parte ancora convergono, nei canali principali che trovano recapito nel collettore Canale di Quarto, che attraverso un tratto in galleria, Sotto il Poggio Spinelli, le recapita a mare. “Nel tempo, purtroppo – sottolinea il membro del gruppo comunale di Protezione Civile – gran parte della rete scolante di canali secondari è stata distrutta dall’antropizzazione (tranciata, interrata, deviata), le vasche di laminazione sono state in parte colmate, e quelle rimanenti non sono più in grado di raccogliere le acque piovane anche perché non adeguatamente manutentate”. I collettori principali risultano in evidente stato di abbandono: non sono rimossi né la vegetazione né i materiali di trasporto in sospensione che si sommano alla spazzatura che, in essi, è quotidianamente riversata dalla parte incivile della popolazione. Ciò comporta una riduzione delle sezioni dei canali, che, in alcuni tratti, è abbinata alla loro abusiva tombinatura. Inoltre l’incessante consumo di suolo, a seguito di abusivismo ed urbanizzazione spinta, determina l’impermeabilizzazione diffusa dei terreni con conseguente diminuzione di superficie utile per l’infiltrazione delle acque piovane. “Se il liquido zenitale non riesce ad infiltrarsi nel terreno, e – illustra – non riesce più ad essere drenata dalla rete scolante di canali, ruscella diffusamente sul suolo causando smottamenti e franamenti, e si riversa copiosamente nelle strade con il suo carico di fango e detriti, strappati alle colline. Nel caso di eventi meteorici eccezionali, sempre più frequenti, può determinarsi un vero e proprio rischio idrogeologico da alluvionamento come già è accaduto in un passato abbastanza recente. Le principali cause di instabilità dei terreni sono determinate dall’alterazione dell’equilibrio naturale instauratosi in migliaia di anni”. La cittadinanza e le autorità devono prendere atto che l’ambiente naturale va protetto e rispettato poiché le alterazioni indotte possono scatenare disastri a cui l’uomo non sa far fronte… Maggiori sono i beni presenti su un territorio (intesi come persone, strutture) superiori sono i danni, le perdite, le conseguenze. Il rischio idrogeologico caratterizza la nostra terra e forse è meglio averne coscienza.
ARTICOLO TRATTO DAL NUMERO DEL DICEMBRE 2013 DEL MENSILE “QUARTO MAGAZINE”
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